Inizia da lontano il percorso dei Low
Frequency Club, iniziato nel 2006 e costellato da tre album – di
cui l'ultimo, “Mission”, uscito appena un mese fa su Foolica
Records – e un paio di EP che hanno consolidato negli anni la
credibilità (non solo live) del trio bresciano.
A vedere Yoki con la tastiera inclinata
davanti mentre snocciola suoni eighties tra un riff di chitarra e
l'altro, il primo paragone che salta in mente è quello con Ian
Williams degli americani Battles, ma i riferimenti di questi ragazzi
bergamaschi non sono proprio gli stessi. C'è infatti tanto
(tantissimo, per la verità) funk nel basso di Giorgi, mentre il
drumming di Bonito sfiora a volte il confine con la drum'n'bass: due
elementi che, assieme ad un piglio melodico ed elettronico che
avvicina i Low Frequency Club alle produzioni americane DFA (LCD
Soundsystem, Hot Chip e soprattutto The Rapture) senza perdere –
anche nel cantato in inglese – un piglio tipicamente italiano, o
meglio “italo”.
Dopo gli esordi con l'EP “Emotional
Phunk” e l'album omonimo “Low Frequency Club”, entrambi su
Polka Dots, la vera esplosione della band avviene nel biennio
2009/2012 prima con i due singoli “Girlfiend Is Better” e “Johnny
Come Home” - cover rispettivamente di Talkin' Heads e Fine Young
Cannibals – e poi con il secondo album “West Coast”, con cui il
gruppo approda su Foolica Records. Al disco seguono importanti
partecipazioni a rassegne come il PWAC Festival di Maribor (in
apertura ai Klaxons), Europavox Festival di Clermont Ferrand, il main
stage degli MTV Days a Torino e l'apertura dell'unica data italiana
dei CSS.
Finito il tour i tre si prendono un
periodo di pausa dal palco per lavorare assieme a Marco Caldera (già
produttore di Massimo Volume, Phone Jobs e Heike Has The Giggles) al
loro ultimo “Mission”, che trovate in streaming sul sito
ufficiale della band http://lowfrequencyclub.it/
. Realizzato in meno di due mesi partendo solo da alcune immagini che
i tre avevano in mente: il risultato sono 8 tracce scure e intense in
cui prendono sempre più piede le sonorità anni '90 e i ritmi sono
sincopati, accompagnate live da una serie di visuals inediti,
probabilmente in linea con quelli utilizzati nel video del primo
singolo “Burn In Hell”. Insomma non solo musica, un album, ma
anche un'idea progettuale a 360° che riconferma i Low Frequency Club
come una delle realtà più interessanti della musica italiana nel
nostro Paese e nel mondo.
a.l.
Video “Burn In Hell”
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